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Crispi, Francesco.

Uomo politico italiano. Laureatosi in Giurisprudenza a Palermo nel 1837, nella medesima città fondò nel 1839 il giornale letterario "L'Oreteo", che continuò a pubblicare sino al 1842. Nel 1845 si trasferì a Napoli per esercitarvi l'avvocatura e cominciò a dedicarsi all'attività politica in chiave antiborbonica. Scoppiata la rivoluzione a Palermo (gennaio 1848), entrò a far parte del Governo provvisorio sostenendo calorosamente l'autonomia siciliana. Fallita la rivolta antiborbonica, si rifugiò prima a Marsiglia, poi a Nizza, infine a Torino dove rimase per quattro anni (1849-53), collaborando all'"Archivio Storico" di C. Cattaneo e a vari giornali e riviste di tendenze liberali. Nel marzo 1853, in conseguenza del fallito tentativo insurrezionale di Milano, venne arrestato e poi espulso dal Piemonte. Rifugiatosi a Malta, riprese contatto con i comitati rivoluzionari siciliani e fondò "La Staffetta", un giornale di propaganda antiborbonica che gli costò l'espulsione da Malta nel 1854. Trasferitosi a Londra, strinse amicizia con G. Mazzini e cominciò a collaborare alla rivista mazziniana "Pensiero e Azione". Successivamente soggiornò a Parigi, poi in Portogallo e ancora a Londra. Nel 1859 si recò segretamente in Sicilia, per farvi propaganda insurrezionale. L'insurrezione del luglio-agosto 1859 fallì; nel 1860 partecipò alla spedizione garibaldina, accompagnato da Rosalia Montmasson, l'unica donna imbarcata a Quarto. Durante la spedizione fu nominato segretario di Stato, con l'incarico di provvedere all'organizzazione e all'amministrazione dell'isola e quindi ministro degli Interni. Proclamata l'unità d'Italia (1861), fu eletto deputato al Parlamento. Esponente dapprima della Sinistra, si staccò gradatamente dai repubblicani, divenendo un fervente assertore dei principii monarchici; coniò il famoso motto: "la Monarchia ci unisce, la Repubblica ci divide". Diventato un convinto conservatore, nel 1876, alla caduta della Destra storica, fu eletto presidente della Camera. L'anno seguente fece un viaggio in Germania, gettando le basi della futura alleanza italo-tedesca. Nominato ministro dell'Interno del Governo Depretis nel 1877, fu costretto a dimettersi nel marzo successivo dietro l'accusa di bigamia. Fu così costretto a rimanere all'opposizione sino al 1887, quando fu di nuovo designato da Depretis al ministero dell'Interno. Entrando a far parte del Governo, egli abbandonò definitivamente la sinistra e pose la propria candidatura alla successione di Depretis, avvenuta nel 1887. Insieme alla presidenza del Consiglio, egli assunse anche i ministeri degli Esteri e dell'Interno. Guidato soprattutto da motivi di prestigio nazionale e personale, C. diede al proprio Governo un'impronta autoritaria e intraprese un'inattesa politica coloniale: rivolse le sue ambizioni all'Abissinia, approfittando della lotta per la succesione al trono tra i capi etiopici. Le truppe italiane penetrarono così in Etiopia nel 1887; dopo la sottoscrizione del Trattato di Uccialli (1889) e la sua denucia da parte del negus nel 1893, il contrasto sfociò in guerra. Nondimeno, il suo Governo si fece promotore di varie misure liberali, varando tra l'altro una legge sulla sanità pubblica, una riforma del sistema carcerario e, nel 1889, la riforma legislativa Zanardelli che introdusse il Codice Penale rimasto in vigore sino al 1930. Risolutamente ostile alla Francia, intese il protezionismo economico, iniziato nel 1887, in senso esclusivamente anti-francese e provocò una guerra doganale che si rivelò disastrosa per l'agricoltura italiana. Inoltre, si oppose con un atteggiamento estremamente autoritario al malcontento popolare provocato dalla grave crisi economica e dalla guerra d'Africa. Riuscì a superare la crisi provocata da alcuni gravi scandali bancari (1889-93) in cui egli stesso risultò implicato personalmente, avendo favorito finanziamenti e prestiti a vari uomini politici. Ricorse senza scrupoli alla legge marziale, sostenendo che ogni opposizione, in quanto tale, doveva essere considerata faziosa e antipatriottica. Il suo eccessivo autoritarismo, che si manifestò nella violenta reazione scatenata contro le agitazioni popolari, in particolare contro i Fasci siciliani (1893-94) e nella repressione del movimento irredentista, e il disastro di Adua (1896) segnarono la fine politica di C., costretto a dimettersi nel marzo 1896. Tra i suoi scritti: Discorsi elettorali (1887), Scritti e discorsi politici, 1849-1890 (1890). Numerose sono soprattutto le pubblicazioni postume: I Mille (1911), Politica estera (1912), Carteggi politici inediti, 1860-1900 (1912), Questioni internazionali (1913), Ultimi discorsi e scritti extraparlamentari, 1891-1901 (1913), Lettere dall'esilio, 1850-1860 (1918), Pensieri e profezie (1920), Politica interna (1924) (Ribera, Agrigento 1818 - Napoli 1901).